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09 Gennaio 2023 - Il passaggio generazionale nelle società familiari
FABRIZIO CONTIN
Dottore Commercialista & Revisore Legale

Il passaggio generazionale è da sempre uno degli argomenti più complessi e problematici da valutare per organizzare le cd. “società familiari”: patti parasociali, trust, donazioni, patti di famiglia, operazioni di family buy out, scissione fra usufrutto e nuda proprietà delle quote, intestazioni delle quote in comproprietà, holding di famiglia.
Il presente contributo vuole valutare le diverse soluzioni analizzando, per ognuna di esse, vantaggi, problematicità e limiti.

1. DEFINIZIONE DI SOCIETÀ FAMILIARE
Nel quadro europeo l'Italia è il paese con il maggior numero di piccole e medie imprese, per lo più a partecipazione familiare, all'interno delle quali si verifica una sovrapposizione-interferenza dei rapporti tra famiglia e impresa.
Non esiste una definizione univoca di società familiare anche se orientativamente ciò che la distingue dalle altre sembra essere la titolarità della proprietà in capo ai soli familiari, la capacità di esercitare il controllo sulla società da parte della famiglia, il coinvolgimento di più generazioni familiari nell'impresa e l'orientamento al futuro (inteso come prospettiva di gestione nel lungo periodo della società da parte dei familiari).

Sono tre le caratteristiche che distinguono una impresa familiare:
1. la prima è costituita dalla intenzione di tramandare di generazione in generazione l'impresa e dalla partecipazione del fondatore/proprietario nell'attività di impresa;
2. la seconda è composta dalla partecipazione della famiglia e dal controllo della famiglia nelle decisioni strategiche;
3. la terza è rappresentata dalla presenza di più generazioni contemporaneamente e dalla presenza di più membri della famiglia che rivestono ruoli di responsabilità.

In realtà analizzando la nostra società familiare, si è giunti ad affermare più genericamente che la peculiarità delle società familiari consiste nella compresenza dei sottosistemi famiglia e impresa, che si influenzano reciprocamente con norme, principi e ruoli di diversa natura, ma così sovrapposti da entrare spesso anche in conflitto.
Per semplificare, chi scrive crede che si possa concentrare l'attenzione sui tre elementi fondamentali che si intrecciano nella società familiare PMI ossia i tre distinti sistemi sociali elementari (la famiglia, la proprietà e l'impresa) rispondenti a funzioni e logiche diverse, ma strettamente interdipendenti.

I tre sistemi sociali (famiglia, proprietà, impresa) possiedono un'area comune in cui convergono e si sovrappongono totalmente, dando luogo ad un sistema complesso, la società familiare, nella quale il fondatore o l'imprenditore-proprietario è membro della famiglia e insieme capo e gestore dell'impresa, eventualmente in collaborazione con altri familiari che condividono la proprietà.
Nelle aree in cui la sovrapposizione è solo tra due dei tre sistemi sociali si possono collocare gli altri "attori" che agiscono nell'impresa familiare.

Ci riferiamo:
1. ai membri della famiglia che, pur esclusi dalla proprietà, partecipano direttamente all'attività di gestione interna come dirigenti, quadri o come semplici lavoratori (manca in questo caso il requisito della proprietà);
2. ai membri della famiglia che, viceversa, non prestano alcuna attività lavorativa in azienda, ma detengono quote di capitale proprio o azionario, in qualità di soci (manca in questo caso il requisito dell'attività di impresa);
3. ai soggetti esterni all'ambito familiare, ma ugualmente coinvolti sia nella proprietà come soci terzi, che nell'attività di gestione interna (a diversi livelli).

In definitiva, gli elementi che tratteggiano indelebilmente le società familiari e le distinguono dalle "altre imprese" possono ricondursi ai seguenti:
a. il fondatore o un membro della famiglia suo erede è a capo dell'impresa come Presidente o amministratore unico (in posizione di leader);
b. altri membri della famiglia del fondatore o del leader sono impiegati nell'impresa e partecipano in varia misura, alla proprietà e al processo decisionale interno;
c. laddove presenti, i manager accettano formalmente o prendono atto di essere assoggettati nel loro agire totalmente o, comunque, in maniera rilevante al volere della famiglia che esprime la proprietà.

2. GLI STRUMENTI GIURIDICI UTILIZZATI IN PASSATO PER LA SUCCESSIONE AL COMANDO DELLA SOCIETÀ DIVERSI DA OPERAZIONI SOCIETARIE
La vicenda successoria determina il cambiamento delle strutture e dei responsabili delle decisioni dell'azienda. Il passaggio tra le generazioni si configura come elemento determinante della continuità dell'impresa e dell'intimo legame tra l'impresa e la famiglia.
Al riguardo si definisce il ricambio generazionale come il processo che "con l'obiettivo di assicurare la continuità dell'impresa, perviene ad un nuovo assetto della proprietà del capitale dell'impresa in capo ai successori e al subentro di questi ultimi o di alcuni di essi nelle responsabilità di governo, di direzione e controllo dell'impresa".
In virtù di quanto sopra risulta particolarmente rilevante la scelta dello strumento in grado di agevolare questo processo.

In passato, le scelte degli strumenti si dividevano equamente tra:
• il ricorso a patti parasociali;
• il ricorso a contratti di diritto comune (non strettamente ereditari) quali il trust, la donazione ecc.;
• l'utilizzo di contratti matrimoniali e prematrimoniali (nel caso di incidenza del rapporto coniugale), ipotesi, però, residuale che spesso si conclude con la cessione dell'impresa;
• il ricorso a contratti ai sensi del diritto ereditario (in particolare il patto di famiglia).

Tutti gli strumenti descritti presentavano e presentano tuttora pesanti criticità.
Il patto parasociale aveva e ha tuttora il grande difetto di non possedere "efficacia reale", cioè di non essere opponibile ai terzi e detto limite ne riduce grandemente l'efficacia.
Tra i contratti di diritto comune il trust può essere utilizzato, ad esempio, come trust testamentario, che disponga che il trustee amministri l'azienda per un certo tempo dopo la morte del testatore, distribuendo gli utili tra gli eredi, con l'indicazione che, scaduto il termine di amministrazione, lo stesso trustee scelga a chi assegnare, tra gli eredi, l'amministrazione dell'azienda stessa ossia come trust in cui confluiscono le partecipazioni societarie dei familiari per disciplinare l'esercizio del voto in assemblea. Il trustee diviene titolare delle partecipazioni, esercitando i diritti che ne derivano.
Tuttavia il trust non offre alcuna protezione rispetto all'azione di riduzione e alla collazione ereditaria; secondo taluno lo stesso beneficiario potrebbe agire in riduzione poiché il trust non è strumento che soddisfa, in punto di diritto, la legittima.
Tale strumento, inoltre, nel passaggio generazionale costringeva a valutare l'azienda o le partecipazioni sociali al momento dell'apertura della successione.
Quanto alla donazione è ovviamente strumento inidoneo a generare qualunque sistemazione familiare dotata di una qualche "stabilità".

3. IL PATTO DI FAMIGLIA E LE SUE CRITICITÀ
L'istituto del patto di famiglia irrompe nel nostro ordinamento con la L. 14.2.2006 n. 55, che trova la sua origine nella Raccomandazione della Commissione CE del 7 dicembre 1994 (94/1069/CEE) sulla successione delle piccole e medie imprese, volta a favorire il passaggio generazionale nell'ambito delle imprese di tipo familiare, attraverso l'attenuazione del divieto dei patti successori e la trasformazione della riserva calcolata in natura in riserva calcolata in valore.
Il patto di famiglia avrebbe dovuto spazzare via ogni problema, ma in realtà così non è stato.
I profili di criticità sono molteplici.
Innanzitutto, la legge, anche per interpretazione pacifica, pretende la partecipazione al contratto di tutti coloro che sono legittimari del titolare dell'azienda o delle partecipazioni sociali alla data della stipula. Dunque, è necessario un contesto familiare pacifico.
È, inoltre, ricorrente il problema dell'obbligato alla liquidazione dei legittimari diversi dall'assegnatario. Per legge obbligato è quest'ultimo, ma in tal caso, come recentemente precisato dalla Corte di Cassazione 19.12.2018 n. 32823, "il patto di famiglia di cui agli artt. 768 c.c. è assoggettato all'imposta sulle donazioni per quanto concerne sia il trasferimento dell'azienda o della partecipazione del disponente al discendente, sia la corresponsione di somma compensativa della quota di legittima dall'assegnatario dell'azienda o delle partecipazioni ai legittimari non assegnatari; quest'ultima corresponsione è assoggettata ad imposta in base all'aliquota ed alla franchigia relative non al rapporto tra disponente ed assegnatario, e nemmeno a quello tra disponente e legittimario, bensì a quello tra assegnatario e legittimario".

Il patto di famiglia per chi scrive è stato “azzoppato" dalla Cassazione ed "inciampa sul fisco". Infatti, il patto di famiglia è assoggettato, secondo la recente pronuncia della Suprema Corte, a una doppia tassazione: la prima a favore del coniuge e dei parenti in linea retta, con aliquota del 4% oltre 1 milione di euro; la seconda a favore dei fratelli e delle sorelle, con aliquota del 6% oltre 100.000 euro.
La Suprema Corte è precipitosamente ritornata sui propri passi con una successiva ordinanza del 24.12.2020 n. 2950633, con la quale fa affermato che nel patto di famiglia sussiste senza dubbio la causa di liberalità, ma ad essa si affianca, senza snaturarla, l'adempimento di un obbligo, imposto dalla legge, scaturente dalla necessità di liquidare i legittimari. Dal punto di vista degli effetti, la presenza di tale obbligo, si sostanzia in un peso gravante sull'attribuzione operata con il patto di famiglia, in tutto simile a quanto accade con il compimento di una liberalità gravata da un onere (v. per la donazione modale l'art. 793 c.c. ). Tuttavia, nel patto di famiglia l'onere non ha fonte negoziale, ma legale, e non costituisce un elemento accidentale dell'attribuzione, ma un elemento necessario. Ne consegue che alla liquidazione operata dal beneficiario del trasferimento dell'azienda o delle partecipazioni sociali è applicabile l'art. 58 comma 1 del DLgs. 346/90, intendendosi tale liquidazione, ai soli fini impositivi, donazione del disponente in favore del legittimario non assegnatario, con conseguente attribuzione dell'aliquota e della franchigia previste con riferimento al corrispondente rapporto di parentela o di coniugio (in parole povere una sorta di donazione fiscalmente attuata sempre e comunque dal disponente).

Va altresì segnalato, per completezza argomentativa, che solitamente l'assegnatario è privo dei mezzi necessari per operare la liquidazione di tutti i legittimari; nella prassi, tale onere è adempiuto dal disponente imprenditore, con la tecnica dell'adempimento del terzo, a titolo di liberalità indiretta a favore dell'assegnatario, che guadagna la liberazione dall'obbligo di liquidare gli altri legittimari. Di qui il dibattito dottrinale in ordine all'esenzione da riduzione e collazione anche delle liberalità comprese nel patto diverse dalle partecipazioni sociali.
Quando è il disponente che provvede anche alla liquidazione dei legittimari in luogo del beneficiario realizzando un patto di famiglia atipico c.d. "verticale" non è del tutto certo che vi sia piena assimilazione con la fattispecie delineata dal legislatore ove è il beneficiario a tacitare i legittimari (c.d. patto di famiglia orizzontale).
Debole è anche la possibilità di avvalersi effettivamente del recesso, e quindi del diritto di ripensamento, per una precisa ragione: vi è infatti stato un esborso economico compensativo a favore degli altri legittimari. Dovendo sopportare un sacrificio economico, l'assegnatario non accetta solitamente l'inserzione di simile clausola nel patto di famiglia. Ne consegue, per quanto scritto, che il patto di famiglia comporta il trasferimento definitivo della proprietà della società all'assegnatario che spesso si impegna a saldare i legittimari a rate o comunque con modalità dilazionate e ciò senza che si possa più intervenire sul compendio aziendale di fronte a sventure patrimoniali dell'assegnatario.

In conclusione, in merito al patto di famiglia, la dottrina ha ritenuto che frequentemente tale istituto non sia soddisfacente dal punto di vista patrimoniale, in quanto presuppone la liquidazione dei discendenti non assegnatari dell'azienda con la sola quota di legittima, dunque con un valore inferiore rispetto a quello attribuito agli assegnatari. È, invece, frequente che il capo famiglia, pur volendo attribuire le responsabilità gestorie solo ad uno o al massimo ad alcuni discendenti, non intenda in alcun modo fare differenze tra i suoi figli nelle attribuzioni patrimoniali. Quindi il fondatore normalmente vuole adottare nella ripartizione dell'azienda principi differenti, trasferendo la direzione operativa sulla base del "principio del merito" e quindi al discendente con le maggiori capacità imprenditoriale, mentre quando si tratta di trasferire la proprietà, invece, le capacità imprenditoriali dei discendenti sono molto meno rilevanti, prevalendo nettamente il "principio dell'equità".
Creando categorie di quote (come si vedrà) è oggi possibile rispettare sia il principio dell'equità sia il principio del merito nel trasferimento della società familiare.

4. ALTRE TECNICHE UTILIZZATE PER LA SUCCESSIONE DI IMPRESA. L'USUFRUTTO E LA NUDA PROPRIETÀ DELLE QUOTE
La modalità nella prassi più frequentemente utilizzata per provvedere al passaggio generazionale è rappresentata dagli istituti dell'usufrutto e della nuda proprietà sulle quote sociali.
È in uso che l'imprenditore fondatore, generalmente titolare con la moglie della totalità delle quote dell'impresa di famiglia, trasferisca la nuda proprietà delle partecipazioni agli eredi (figli o altri eredi designati). Attraverso la riserva di usufrutto sui beni trasferiti il disponente può continuare a gestire l'impresa per tutta la sua vita o per il diverso periodo stabilito nel contratto (l'usufrutto, o la riserva, può essere anche temporaneo).
Il trasferimento avviene a titolo oneroso o per donazione, con la scelta della seconda opzione quando gli eredi non possano dimostrare la disponibilità del corrispettivo. Il trasferimento della nuda proprietà peraltro riduce l'onere del corrispettivo complessivo del trasferimento (in caso di donazione che eccede la franchigia). Infatti, questa soluzione riduce l'imponibile di una cessione di partecipazione. Il valore della nuda proprietà è calcolato sulla base del patrimonio netto, decurtato il valore dell'usufrutto commisurato tabellarmente alle prospettive di vita dell'usufruttuario, come previsto dall'art. 16 del DLgs. 346/90, relativo all'imposta sulle successioni e donazioni. Alla morte dell'usufruttuario, l'usufrutto si riunisce automaticamente alla nuda proprietà, senza alcun ulteriore imponibile su tale ricongiungimento.
L'imprenditore fondatore mantiene l'usufrutto a suo favore al fine di avere a disposizione una rendita vitalizia data dai dividendi che saranno distribuiti dalla società e continuare ad esercitare il diritto di voto nelle assemblee, così da sentirsi ancora elemento attivo e legato all'impresa familiare.
Questa tecnica è congeniale all'ipotesi in cui l'erede non sia ancora pronto, per ragioni di età o per altri motivi, a succedere al capofamiglia, sebbene la selezione del soggetto designato ad assumere la guida della società sia già avvenuta, ma non si intenda comunque procedere ad un cambio immediato della gestione e si preferisca riservare un ruolo di supervisore al capostipite.
Per previsione legale è l'usufruttuario ad esercitare il diritto di voto e in tal caso non vi è alcun limite all'esercizio del diritto di voto del capofamiglia usufruttuario che non trovi un espresso riconoscimento nella convenzione eventualmente stipulata ai sensi dell'art. 2352 c.c. Infatti, in assenza di una specifica convenzione, il capo-famiglia usufruttuario può esercitare il diritto di voto senza alcuna limitazione.

5. HOLDING DI FAMIGLIA
Allo scopo di favorire il passaggio generazionale una delle modalità più frequentemente utilizzate è quella di costituire una società holding di famiglia, creando una struttura apicale, caratterizzata dalla presenza di un'organizzazione imprenditoriale autonoma, volta al coordinamento dei fattori produttivi relativi alle società del gruppo. Più precisamente per holding, termine di origine inglese ed abbreviazione di holding company (ormai entrato nel nostro dizionario e sinonimo di capogruppo), deve intendersi una società controllante appartenente ad un gruppo societario che esercita nei confronti delle proprie controllate un'attività di direzione e coordinamento come previsto dall'art. 2497 c.c. .
In tale contesto, tutte le società appartenenti al gruppo sono assoggettate al controllo ovvero all'influenza della holding che le dirige e coordina secondo un disegno unitario.
Le holding sono catalogate in due diverse tipologie: da un lato la c.d. "holding pura" (ovvero finanziaria) che si limita a gestire le proprie partecipazioni nelle altre società appartenenti al gruppo. In questo contesto la capogruppo non esercita alcun tipo di attività produttiva di beni o servizi, né in modo diretto, né indiretto; dall'altro la c.d. "holding impura" (ovvero mista, operativa o industriale) quando essa svolge, oltre all'attività di direzione e coordinamento nei confronti delle proprie controllate, anche un'attività industriale o commerciale di produzione o di scambio di beni o servizi. In quest'articolo si esaminerà solo la prima fattispecie come tipo maggiormente idoneo a strutturare una impresa familiare.
I vantaggi conseguibili mediante la creazione di una holding di famiglia sono di tre tipologie differenti (societari, fiscali, finanziari).
I vantaggi societari sono molteplici:
• in primo luogo si ottiene la razionalizzazione del controllo societario creando una società posta indirettamente al vertice di tutte le società;
• in secondo luogo, in caso di conflitto tra i membri della famiglia, le eventuali battaglie legali societarie si combattono a livello della holding senza che l'attività delle società operative sia danneggiata da un coinvolgimento diretto.
I vantaggi finanziari sono i seguenti:
• razionalizzazione della distribuzione degli utili. La società holding incassa i dividendi delle società controllate e li distribuisce ai soci, dopo aver valutato le esigenze finanziarie dell'intero gruppo;
• possibilità di utilizzo di strumenti di finanziamento infragruppo elastici.
I vantaggi fiscali sono individuabili:
• nella possibilità di pianificare il trasferimento generazionale, al fine di limitare l'impatto delle imposte dirette e indirette una sola volta e al solo livello più elevato della struttura societaria;
• nella possibilità di utilizzare la tassazione di gruppo ai fini delle imposte dirette e ai fini IVA.

6. CONCLUSIONI
Le imprese familiari rappresentano una realtà di grande rilevanza economico-sociale nel nostro paese ed è perciò importante assicurarne lo sviluppo e la continuità durante i processi di transizione proprietaria propri dei passaggi generazionali. In tale occasione sorge la necessità di salvaguardare e preservare il valore dell'impresa che potrebbe venire compromessa dall'instaurazione di una comunione ereditaria occasionale nonché dalla trasmissione del comando ad uno o più successori incapaci di guidare la società. Si sono esaminati i molteplici istituti anche alternativi a quelli tradizionali ed al patto di famiglia che possono essere utilizzati dall'imprenditore desideroso di pianificare il passaggio generazionale della propria impresa.
Tuttavia, occorre constatare come, la proficua elaborazione dei mezzi alternativi diretti a regolare il delicato momento del ricambio generazionale dell'impresa di famiglia dimostra come il nostro sistema successorio abbia una sua specifica vitalità.
Uno dei modelli di srl maggiormente diffusi in Italia è quello i cui soci siano componenti della medesima famiglia, spesso costituita in seguito all'evoluzione dell'impresa individuale creata dal capo famiglia che, nel tempo, ha voluto condividere con il coniuge e i propri discendenti i risultati economici della sua attività. In dette società sono sempre esistite di fatto due categorie di soci, anche se non enunciate: i soci imprenditori (il capo famiglia e/o uno o più dei suoi discendenti), interessati alla gestione della società oltre che a conseguire l'utile, e i soci di capitale (gli altri familiari), estranei alla gestione ma interessati ai dividendi.

Nella prassi le soluzioni adottate sinora con maggiore frequenza sono le seguenti:
• l'elevazione delle maggioranze decisionali, al fine di rendere determinante il voto dei soci imprenditori. Tale soluzione, tuttavia, ha consentito ai soci imprenditori di godere di un diritto di veto sulle decisioni, ma non un vero diritto decisionale, esponendo la società al rischio dello stallo decisionale;
• la riserva per statuto ai soci imprenditori del diritto di amministrare nella forma del diritto particolare dei soci. Tale opzione consente ai soci imprenditori di mantenere il controllo della gestione ma non il controllo sulle decisioni dei soci, ed in particolare sulla decisione di approvazione del bilancio che assegna agli altri soci un potente strumento di opposizione;
• la previsione di clausole di prelazione o gradimento nel caso di vendita a soggetti estranei al nucleo familiare. Tuttavia, dette clausole hanno il limite di imporre ai soci che non intendono acconsentire al trasferimento delle partecipazioni di liquidare gli altri soci.
Le srl PMI familiari (che rappresentano oltre il 99% delle srl), dopo la recente riforma del 2017, possono ora avvalersi della facoltà di emettere quote di categoria pur senza offrirle agli investitori, al solo scopo di assegnarle ai componenti di determinati nuclei familiari.
In questo modo si può realizzare un meccanismo particolarmente congeniale all'organizzazione delle società familiari, dato che l'istituto permette di attribuire ai soci posizioni differenziate, in grado di essere tramandate ai successori mediante il trasferimento delle partecipazioni. È quindi oggi possibile articolare la compagine sociale in gruppi omogenei, tendenzialmente costituiti dagli esponenti dei singoli rami familiari, attraverso l'attribuzione di specifiche categorie di quote78 il che, abbinato alla possibilità di assegnare a taluni soci diritti particolari, fanno dei patti sociali di srl la sede elettiva per disciplinare il passaggio generazionale di impresa.
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